3.5 La cena

Un venerdí di giugno mi ricordo bene di aver fatto qualcosa di differente. In quelle settimane il mio lavoro stava facendo dei grandi progressi, sembrava che le incertezze della mia vita privata non disturbassero il mio lavoro. Il pomeriggio ero ancora una volta nello studio della Giusti, questa volta per mostrarle un video sull'alfabeto fonetico dei dinosauri; parecchie persone del nostro Istituto partecipavano alla riunione. Ci addentrammo in una lunga discussione sulla grammatica del linguaggio scritto dei Waucarlisauri, Giusti favoriva l'uso di metodi presi dalla linguistica strutturale del secolo scorso, io invece ero piuttosto favorevole ai metodi della moderna semantica computazionale. La discussione continuò molto al di là dell'orario di lavoro normale, gli altri ricercatori gradualmente se la svignavano. Anna fu l'ultima, e nel lasciarci si scusò, doveva incontrare Fabrizio che tornava da un convengo all'estero.

Io stavo proprio a mezzo di un discorso entusiastico sulla semantica generativa, quando tutto ad un tratto mi resi conto che eravamo soli, la Giusti ed io. Allora non potei fare a meno di pensare, ero proprio così sicuro che la cosa che contava di più era prevalere nella discussione? L'esitazione fu subito evidente nel mio modo di parlare, e io ebbi l'impulso di fare qualcosa di stupido, qualcosa che l'avrebbe fatta andare in bestia, forse perfino baciarla, no, non avrei mai osato fare una cosa simile, ma la guardai con un luccichio strano nei miei occhi, e forse lei se ne accorse.

- Nieri, è troppo tardi stanotte, per finire questa discussione - disse lei; io rimasi perplesso, l'idea che ci potesse essere un'ora in cui il lavoro doveva per forza smettere era insolita per lei - perché non vieni a cena a casa mia?

Questa non me l'aspettavo, da capo per favore. Sì, mi aveva proprio invitato a cena. Avevo qualche vaga idea sul fatto che avesse una famiglia, ma non avevo mai conosciuto suo marito, i suoi figli.

Arrivai a casa loro molto dopo il tramonto, quando il cielo stava già diventando blu scuro. Avevano un piccolo molo privato, in uno stretto canale (un vicoletto, nell'epoca pre-alluvione) del centro storico. La casa era all'antica, con poca plastificazione, e dei grossi muri di cemento che tenevano a bada le acque, quel tipo di casa che sarebbe dannatamente costosa da comperare oggi, ma che era probabilmente una proprietà di famiglia.

La porta fu aperta dalla Giusti... da Laura... come dovevo chiamarla nella sua casa, se aveva un nome diverso per ogni ambiente: Signora Abeti, col cognome del marito? Mi domandai se lo usasse mai. Mi invitò ad entrare in modo molto cordiale, ed allo stesso tempo molto formale, e mi presentò a suo marito, Marco: un uomo di mezza età, voglio dire la stessa età di lei, ma magro e svelto, con i capelli neri, ed occhi vivaci.

Marco sembrava interessato a me, e mi fece molte domande.

- Come era l'Università di Calci? Il livello degli studi è ancora alto, secondo la tradizione dell'Università di Pisa, o si è un po' sciolto nelle acque come quasi tutto da queste parti?

- Nieri era uno studente molto brillante - intervenne la Giusti - altrimenti non lo avrei preso, a lavorare con me.

- Ah sì? E che cosa hai studiato?

- Crittografia multimediale.

- Sarebbe?

- Qualcosa di mezzo tra l'informatica e la scienza della comunicazione...

- E per cosa state utilizzando le tue speciali conoscenze?

- Per tradurre il CD dei dinosauri...

- Nieri ha già dato un grande contributo, ha identificato i fonemi dei dinosauri...

- Questo ci consente di trascrivere la parte audio del CD, ma c'è ancora molto da fare - io ero imbarazzato dalle lodi della Giusti.

- Quando avrete trascritto tutto, capirete la civilizzazione dei dinosauri? È già difficile capire la civilizzazione degli uomini, se vogliamo chiamarla così.

- Non che si possa capire tutto, ma ogni nuova scoperta è un progresso; in fondo fino a venti anni fa non si sapeva affatto che i dinosauri avevano sviluppato una tecnologia.

- Ma voi volete capire la tecnologia dei dinosauri, o la loro cultura?

Io trovavo i suoi discorsi un po' duri nei confronti della Giusti, che in fondo faceva della ricerca sul cui valore culturale non c'era dubbio; ma lei non ci faceva caso, e lasciava che fossi io a controbattere. Io non avevo mai frequentato delle coppie sposate, a parte i miei genitori che erano stati un pessimo esempio, ma era evidente anche a me che loro due avevano sviluppato un solido adattamento reciproco, che teneva in conto, anziché negare, le loro differenze.

Questa conversazione era andata avanti né bene né male per un po' di tempo, quando accadde qualcosa di veramente imbarazzante: mi sentii male. Voglio dire che mi venne da vomitare come come se fossi stato in barca su di un mare agitato, io avevo sempre sofferto di mal di mare - più tardi, quando ebbi maggiori opportunità di viaggiare, soffrii anche di mal d'aereo - ma questo era ridicolo, non eravamo affatto in movimento! Con tutto ciò, dovetti correre in bagno e vomitai tutto quello che avevo nello stomaco. Dicono che il mal di movimento è provocato da una contraddizione tra i sensi. Nel mio caso, c'era certamente una contraddizione, ma non aveva niente a che fare con i sensi... o almeno, non con i sensi di questo mondo.

Quando uscii dal bagno, pallido come un lenzuolo, Marco fu molto gentile, e si offrì di prepararmi una minestrina in bianco; in effetti non potevo mangiare la saporita cena che avevano preparato, e fui costretto ad accettare l'offerta di Marco, anche se questo mi imbarazzò al massimo.

Dopo cena, continuammo a parlare, per lo più Marco ed io; la Giusti parlò del suo figlio quindicenne, che si fece vedere a un certo punto, e se ne andò subito. Io stavo bene con loro, e mi vergognavo schifosamente perché stavo bene.

Al momento di andarmene strinsi la mano a Marco, e la Giusti mi offrì le guance da baciare: io odiavo baciarla in quel modo, perché era difficile controllarmi, ogni piccolo cambiamento nei miei movimenti avrebbe potuto diventare una terribile scorrettezza, e con il marito che guardava. Ma ebbi il tempo di sentire l'odore dei suoi capelli, e del suo collo leggermente profumato, portava un profumo Chanel.

Dopo aver salpato dal loro molo, non avevo voglia di andare dritto a casa. Era una calda notte dell'inizio dell'estate, con la luna che luccicava sull'acqua; e poi, avevo bisogno di un po' d'aria, specialmente prima di andare a casa da Terry. Andai verso il centro città, proprio in mezzo al letto del vecchio fiume, dove le barche dei giovani si radunavano ogni sera formando una specie di piazza galleggiante. C'erano dei suonatori di chitarra e dei cantanti, persino alcuni poeti che recitavano i loro versi.

Restai là finché non fui sicuro che Terry fosse completamente addormentata; la mattina dopo non avrebbe fatto tante domande.

Andrea Milani 2011-10-11