-Ma lei è il nuovo guardiano del faro?
Alla mia conferma nel bar affollato scese un silenzio glaciale. La padrona mi diede le indicazioni, e io mi avviai. La casa di Jonas Jonasson era ai margini del paese, una piccola baracca di legno ricoperta di lamiera, ma molto pulita e con un giardino ordinatissimo in cui avvizzivano gli ultimi fiori della stagione passata.
Jonas Jonasson era un uomo anziano, dall'aria gentile, tanto che non fece stupide osservazioni ma mi condusse subito al faro. Per arrivare al faro si percorre la Ring Road, tornando verso Reykjavík, per 5 o 6 chilometri, poi si gira per una stradina che scende verso la spiaggia e poi risale una serie di tornanti fino alla cima di un promontorio roccioso. Il faro sorge su di una scarpata a picco sul mare; a sinistra c'è una serie di promontori rocciosi e di isolette abitate solo da uccelli marini, a destra una grande spiaggia lunga decine di chilometri. Località suggestiva, non c'è che dire.
Il faro è un edificio con una base più larga, con molte stanze che contengono i servizi, la cucina, la sala macchine con il gruppo elettrogeno, e vari magazzini e officine. Sopra sorge una torre di tre piani, con in cima if faro vero e proprio; il primo piano è occupato da un'unica grande stanza, dove vive il guardiano. Jonas mi fece visitare tutto l'edificio, e mi spiegò con cura cosa dovevo fare per avviare il gruppo elettrogeno, per accendere la lampada del faro, e tutte le altre operazioni necessarie. Il lavoro non poteva essere più leggero: come mi spiegò, il mio compito era soltanto quello di accendere il faro ogni sera e spegnerlo ogni mattina.
-Mi raccomando -mi disse -il lavoro sembra poco, ma è importante perchè le scogliere davanti a Dyrhólaey sono molto pericolose per la navigazione: non devi mai dimenticarti di accendere il faro la sera. Se hai bisogno di assentarti per un giorno, posso sostituirti io, ma devi avvertirmi.
A me sembrava che l'unico problema di questo lavoro era come riempire l'immensità di tempo libero; mi resi conto ben presto che proprio a questo serviva la grande stanza del primo piano. Una parete della grande stanza era ricoperta da una grande libreria, piena di libri ingialliti e un po' ammuffiti. C'erano tutte le saghe islandesi classiche, tutte le trasposizioni in versi delle stesse saghe fatte dagli autori dell'ottocento, molti romanzi islandesi dell'inizio del secolo, e qualche romanzo straniero tradotto in islandese. Mi resi subito conto che migliorare la mia comprensione dell'islandese era questione di sopravvivenza.
Per il resto la mia vita al faro era abbastanza piacevole. Due volte alla settimana andavo a piedi fino alla Ring Road, dove quasi sempre, con un po' di pazienza, trovavo un passaggio per Vík, dove facevo la spesa e passavo un po' di tempo al bar, cercando inutilmente di fare amicizie tra i locali. Ogni sera, cioè verso le quattro del pomeriggio, dopo aver acceso il faro, mi sceglievo un libro nella libreria e mi mettevo a leggere nel letto che stava sulla parete opposta; soltanto una volta ogni ora mi alzavo per rattizzare la stufa che stava al centro della stanza, e più raramente prendevo le scale per salire a controllare il faro o scendere a controllare il gruppo elettrogeno; in realtà era molto raro che ci fosse da fare qualche riparazione o qualche regolazione, perchè tutto funzionava alla perfezione.