-Torno subito -dissi alla signorina dietro al banco, e andai al bagno. Strappai minuziosamente il biglietto aereo in piccoli frammenti, lo gettai nel water e tirai lo sciacquone. Poi andai a prendere l'autobus per Reykjavík.
Arrivato in città mi diressi all'Ostello dell'Esercito della Salvezza. Il portiere mi ridiede la stessa stanza, che aveva quattro letti ma che ormai occupavo da solo perchè i turisti cominciavano già a sfollare. Per le vie della città si incontravano gli ultimi cicloturisti che rientravano sfiniti dai loro giri dell'interno; i turisti dei viaggi organizzati erano partiti da tempo. Così Reykjavík sembrava tutta per me, per la mia sete di conoscere ogni piccolo dettaglio della vita islandese.
A Reykjavík settembre è un mese di una bellezza struggente: le giornate si accorciano rapidamente, ma il cielo è luminoso e percorso ancora da nuvole veloci come in estate. Però se io volevo diventare islandese dovevo smettere di vivere come un turista e trovarmi un lavoro. L'ufficio di collocamento di Reykjavík era perfettamente organizzato, come tutti gli uffici islandesi, con impiegate cortesi e con grandi bacheche su cui erano affisse le offerte di impiego. All'inizio mi sembrava che trovare lavoro fosse molto facile, perchè le bacheche erano piene di annunci; però ben presto mi resi conto che non avevo le qualifiche necessarie. Intanto il mio islandese ancora incerto mi precludeva quasi tutti i lavori impiegatizi; poi non ero qualificato come pescatore (soffro terribilmente di mal di mare); quanto ad andare a cavallo a raccogliere le pecore nelle zone deserte dell'interno, il mestiere più facile da trovare in settembre, non so cavalcare e comunque non mi attirava particolarmente. Esclusi questi lavori, e quelli legati al turismo che in settembre erano alla fine, restava solo un posto per un operaio pulitore di merluzzi nella fabbrica di surgelati alla periferia di Reykjavík, il che non mi pareva quello per cui avevo deciso di restare.
Negi ultimi giorni di settembre arrivarono le prime tempeste invernali; girare per le strade di Reykjavík perdeva molte delle sue attrattive, e per di più persino all'Ostello dell'Esercito della Salvezza cominciarono con estrema gentilezza ad osservare che forse se volevo restare avrei dovuto pagare il conto. Il primo ottobre arrivai al fondo della disperazione. Prima di arrendermi decisi di andare ancora una volta all'ufficio di collocamento. Ma in ottobre le offerte di lavoro in Islanda non abbondano di certo. Le grandi bacheche erano desolatamente vuote, non c'era più neanche il posto di sventratore di merluzzi. Solo in un angolo c'era un foglietto ingiallito, dall'aria così invecchiata che pensai che doveva essere stato lì, nascosto dagli altri annunci, per tutta l'estate, e forse anche più a lungo.
L'annuncio diceva: Cercasi guardiano del faro di Dyrhólahey. Salario interessante, alloggio compreso, località suggestiva, lavoro leggero. Rivolgersi all'Ufficio Marittimo dell'Islanda Meridionale, indirizzo ... Sembrava proprio quello che cercavo. Eppure, quando staccai il biglietto dalla bacheca e mi rivolsi allo sportello per avere spiegazioni, l'impiegata mi fissò a lungo prima di rispondermi. Vista la freddezza degli islandesi, che non lasciano mai trapelare i loro sentimenti, era un comportamento a dir poco sorprendente.
All'Ufficio Marittimo mi ricevettero con un atteggiamento di cortese e malcelata sorpresa.
-Veramente vuole il posto di guardiano di Dyrhólaey? Quel posto è rimasto vacante per molto tempo.
-E perchè? Mi sembra un buon posto.
-Certamente, il salario è buono, ma ... il posto è un po' isolato.
Perchè un islandese potesse trovare un posto isolato, mi venne il dubbio che Dyrhólaey fosse nella cintura degli asteroidi.
-Ma dov'è Dyrhólaey? -chiesi.
-Otto chilometri da Vík í Mýrdal, la più grande città della costa Sud dell'Islanda.
Benchè io sapessi benissimo che il concetto islandese di città è molto diverso dal nostro, l'idea di avere un centro abitato a non più di un paio di ore di marcia nella neve mi pareva confortante, e anche per questo dissi all'impiegato che accettavo il posto senza approfondire le ragioni del suo strano atteggiamento. Un autobus di linea andava a Vík ogni giorno, percorrendo in senso antiorario la Ring Road, praticamente l'unica strada islandese che da noi sarebbe considerata carrozzabile. L'indomani, pagato l'ostello con l'anticipo del mio primo stipendio, salii sull'autobus.