Visto che conoscevo quasi solo la vasca dei Miracoli, dedicai la mattina a visitare quello che era rimasto del resto della città. Non c'erano altri monumenti di importanza paragonabile a quelli che avevo già visto, o almeno non c'erano più, ma alcuni altri edifici ben conservati perché plastificati valevano la pena di essere visti. Per esempio un murale di Haring, degli anni '80 del secolo scorso, che stava su di una parete completamente sommersa e si poteva ammirare da una piattaforma con vetri sotto il livello dell'acqua. La didascalia diceva che Haring era morto di AIDS, pochi mesi dopo aver completato quel dipinto: mi ricordo cosa diceva mio nonno della paura del sesso che aveva la sua generazione. Una volta eravamo nei boschi a raccogliere le castagne, e io gli avevo confidato di avere una cotta per una ragazza del paese, una certa Alberta, non avrei mai ammesso una cosa simile con i miei genitori, ma con il nonno sentivo di poter parlare. Mi ricordo perfettamente questa sua frase:
- Per la nostra generazione il sesso libero era un peccato, con una sua punizione sulla terra, non soltanto in un'altra vita, per chi ci crede. Spero che voi giovani abbiate imparato a non pensarla più così, ora che almeno questo tipo di inferno in terra è stato abolito.
Io ero tra quelli che la pensavano diversamente dalla generazione di mio nonno? Con Alberta non ero stato capace di dimostrarlo...
Più tardi visitai il moderno giardino sottomarino di alghe esotiche, che era stato impiantato nello stesso luogo dell'antico orto botanico, e che si attraversava in una galleria subacquea trasparente. Visto che cominciavo a stancarmi di fare il turista, chiesi un consiglio ad un custode dell'Orto Botanico.
- Scusi, mi saprebbe consigliare un posto adatto per la pesca?
- Ci sono tanti posti buoni nella palude attrono a Pisa... è ricca di pesci sia di acqua dolce che di mare.
- Io vorrei un posto non troppo lontano.
- Basta uscire dalla città verso il mare, dove una volta stava il quartiere di Porta Nuova; ora ci sono dei canneti, c'è un labirinto di piccoli canali in cui si può passare con una barca piccola, è pieno di pesci.
Era ormai il primo pomeriggio, decisi di andare a tentare la mia fortuna nella pesca, avevo sempre una canna nel vano attrezzi del topo. Il consiglio era buono, in un paio di ore presi due discrete carpe. Il canneto stava dal lato della città dove una volta sorgeva la Facoltà di Ingegneria, secondo il plastico dell'Università che era in mostra nell'ingresso dell'Università di Calci.
A un certo punto spuntai in uno specchio d'acqua libera nascosto tra le canne, dove stava una piccola isola, anzi era una piattaforma artificiale costruita su palafitte. Incuriosito, mi avvicinai con il topo; sulla piattaforma c'era un container riciclato, in cui era stata aperta una porta, un cartello diceva: ``Sito Archeologico, Dipartimento di Ingegneria delle Grandi Strutture''. Non mi tornava: archeologia faceva parte della Facoltà di Lettere, almeno a Calci. E poi, come potevano fare scavi archeologici in una palude?
Mentre mi avvicinavo, un uomo uscì dal container: era di mezza età, con barba e baffi brizzolati. I suoi vestiti erano infangati, eppure li portava con una naturale eleganza.
- Mi spiace, ma il sito non è ancora aperto al pubblico - mi disse.
- Stavo solo dando un'occhiata, cercando di capire come potete scavare in una palude.
- Veramente non scaviamo, è archeologia subacquea.
- Interessante... e cosa trovate in queste acque torbide? - io avevo deciso di scavare a mia volta qualche informazione.
- Il nome tecnico è archeologia del secondo ordine; e allo stesso tempo facciamo della ricerca storica.
Per me queste parole non avevano senso. La mia perplessità era così evidente che l'archeologo decise che tanto valeva fare un intervallo e spiegarmi; si accese una sigaretta vecchio stile, senza neppure il filtro elettrostatico, e cominciò a raccontare.
- Lei non è di Pisa, ed è anche giovane, non può sapere molto della storia locale. Per capire quello che stiamo facendo bisogna tornare agli anni attorno al 2015, quando il livello del mare saliva rapidamente e la città di Pisa, senza molto sostegno dal governo europeo, stava costruendo la Grande Diga: un opera grandiosa.
- Ma poi cedette - cominciavo ad essere un po' stufo della retorica dei pisani sui grandi costruttori di dighe.
- Non sia impaziente, mi lasci raccontare la storia. Al principio funzionò; e la costruzione era una tale impresa da diventare l'attività economica principale dell'intera regione.
- Non aveva detto che Pisa era poco sostenuta dal governo? Il costo della diga dovrebbe aver rovinato l'economia.
- Al contrario stimolò l'economia: la città di Pisa raggiunse un tenore di vita mai visto. Così, mentre la diga cresceva e teneva dietro al montare delle acque, la città cresceva, specialmente in questa zona, vicino al cantiere della diga. Proprio qui, dove è stata installata la nostra piattaforma, stava il Dipartimento di Ingegneria delle Grandi Strutture. Il loro lavoro era vitale per la città, e per i loro uffici furono costruiti i più alti grattacieli mai visti a Pisa.
- E quanto durarono questi edifici?
- Soltanto pochi anni. Il livello del mare stava crescendo, perché le calotte polari si scioglievano sempre più in fretta. Verso la fine i progettisti della diga si resero conto che la battaglia contro il mare era perduta, ma nessuno lo disse in pubblico.
- Così andarono avanti ad ampliare i loro uffici, anche sapendo che presto sarebbero stati alluvionati?
- E continuarono a costruire la diga, pur sapendo benissimo che l'onda provocata dal suo collasso avrebbe fatto ancora più danni, arrivando da più in alto.
- Non è questo un caso ovvio di responsabilità del progettista? Perché non avvertirono le autorità politiche?
- Lo fecero, e la risposta che ebbero fu che Pisa stava fiorendo economicamente per effetto dei lavori di costruzione della diga. Perciò la costruzione della diga doveva andare avanti.
Restammo in silenzio per un poco, guardando la corrente che scorreva lentamente attorno alla piattaforma. Questa volta non ebbi l'allucinazione dell'ondata di piena, eppure con gli occhi dell'immaginazione era facile rivedere la catastrofe, quando la diga aveva ceduto, e per contrappasso l'ondata si era scaricata sul lato ovest della città, cioè sugli uffici dei progettisti. Accanto non restava niente, degli imponenti edifici della Facoltà di Ingegneria.
- È una storia triste. Però lei non mi ha ancora spiegato che cosa sta cercando qui.
L'uomo cercò invano di spazzolare via il fango dai suoi vestiti, inalò l'ultima boccata di fumo dalla sua sigaretta, e continuò.
- Vede, l'ultimo edificio ad essere completato qui non apparteneva alla Facoltà di Ingegneria, ma era sponsorizzato dalle ditte che avevano l'appalto della diga. Era il Museo Archeologico di Pisa.
- Il Museo Archeologico?
- Sì, Pisa ha, o meglio aveva, quando il terreno era accessibile agli scavi, diversi importanti siti archeologici. I reperti di tutti gli scavi fatti alla fine del secolo scorso e all'inizio di questo non avevano ancora trovato una collocazione adeguata: per esempio, le navi romane scoperte più di quaranta anni fa, e le scoperte delle necropoli etrusche a nord dell'abitato.
- E questo museo fu completato subito prima dell'alluvione?
- L'inaugurazione dovette essere anticipata, perché altrimenti il Museo correva il rischio di essere allagato prima di essere aperto al pubblico.
- E adesso lei sta scavando, voglio dire raccattando dal fondale fangoso, gli stessi reperti archeologici che erano esposti nel museo?
- Sì, archeologia del secondo ordine vuol dire questo. Nel frattempo, quando ci capita, recuperiamo anche documentazione sul lavoro del Gruppo di Progettazione della Diga, visto che i suoi uffici erano proprio di fronte al Museo.
- È una nuova disciplina, questa archeologia del secondo ordine?
- Lei non è ben informato. Dell'archeologia del secondo ordine fu fatta al Museo Archeologico di Firenze, dopo l'alluvione del fiume Arno nel 1966: il museo fu riaperto 15 anni dopo, con esposti molti degli stessi pezzi che aveva prima. Allora non si diceva così, l'espressione ``archeologia del secondo ordine'' fu introdotta dagli inglesi durante gli scavi del British Museum, dopo lo sfondamento della diga di Southend, sul Tamigi, nel 2022.
Ringraziai l'archeologo per le sue spiegazioni, tornai al mio topo e navigai verso la città, o quello che ne restava. Passai ancora un po' di tempo a pescare, e presi un altro pesce di razza sconosciuta ma appetitosa. Poi ritornai verso la Vasca dei Miracoli, dove la maggior parte dei turisti se ne stavano tornando ai loro alberghi fuori della palude, nell'area di Montenero, vicino all'estremità sud della diga.
Dopo il tramonto Terry mi condusse a casa sua, anzi era uno studio da pittore più che un'abitazione, in cima ad un edificio che non era stato plastificato, ma solo consolidato con delle travi di acciaio. Perciò i piani inferiori non erano completamanete crollati, anche se si erano parzialmente sciolti: tutta la casa risuonava dello sciacquio delle onde, che sbattevano contro le pareti, specialmente nel vano delle scale. Lo studio era stato ricavato nell'antica soffitta, stendendo un pavimento di travi di legno ed aprendo grandi lucernari nel tetto; non c'era una camera da letto separata, ma una piattaforma di legno, attaccata al tetto, dove lei dormiva.
- Allora la tua famiglia era italiana, anzi di qui; perché dicevi di essere mezza canadese?
- La mia famiglia era italiana, ma poco prima dello sfondamento della diga i miei genitori emigrarono a Toronto. Anche il mio nome è italiano, mi chiamo Maria Teresa; per i miei compagni di scuola canadesi è subito diventato Terry.
- Se ne sono andati per timore dell'alluvione?
- No, erano partiti prima che si sapesse che la diga avrebbe ceduto, o almeno loro non lo sapevano. Quando cedette, vollero ritornare per cercare di salvare la casa, e mi portarono con sè, io ero piccola.
- Sono riusciti a salvarla, è una bella casa.
- Non è stato tanto semplice; dopo vari tentativi, trovarono questa soluzione per rendere la soffitta abitabile, e anche utilizzabile come studio. Mia madre fece installare un forno per la ceramica con contenimento al plasma, per rimpiazzare quello nel giardino che era andato perduto. Recuperò anche gli sportelli di un armadio quattro stagioni che stava originariamente al piano terra; vieni a vedere.
I pannelli di legno dell'armadio ora coprivano un'intera parete, dipinti in trompe l'oeil in modo da sembrare un panorama visto attraverso una finestra, con i meandri di un fiume che scorreva verso il mare.
- Bello, valeva la pena di salvarlo.
- Lo aveva dipinto mia madre da ragazzina. Insomma i miei genitori hanno cercato di salvare la casa, e non hanno mai voluto venderla, anche se costa un patrimonio evitare che si sciolga. Però alla lunga non hanno resistito qui, e sono tornati a Toronto. Io vengo qui quasi ogni anno, e mi guadagno da vivere usando l'attrezzatura di mia madre. Vedi, quella statua di ceramica è di mia madre; questa è mia...
Il suo studio era una specie di museo privato, inondato dalla luce del tramonto che dava una sfumatura rossa alle sculture, ai dipinti, in tinta con i capelli di Terry. Passai con lei una serata magnifica. Forse avrei potuto combinare qualcosa con lei anche quella prima sera, voglio dire dal punto di vista fisico, ma io avevo paura che si offendesse, volevo essere sicuro di poter tornare da lei altre sere; neppure mi immaginavo quante sere.
Ritornai la sera dopo, di nuovo al tramonto, ma questa volta lei non volle restare a casa, ce ne andammo con il topo alle mura della città, sopra alle quali si poteva fare una lunga passeggiata, dalla Vasca dei Miracoli lungo tutti i lati nord e est dell'antica cinta medievale. Dalle mura si potevano prendere alcune passerelle che conducevano a terrazze sui tetti; i camminamenti sui tetti con le terrazze e i ponticelli formavano un labirinto, un parco con le tegole al posto dell'erba ed i camini al posto degli alberi. Il percorso all'altezza dei tetti era quasi deserto la sera, dopo che i turisti erano ritornati agli alberghi in terraferma. Noi ci rincorrevamo, all'inizio giocavamo ad acchiapparci come i bambini, alla fine ero sempre io che inseguivo lei, che faceva finta di sfuggirmi, ma lei non cercava mai di nascondersi, di lasciarmi troppo indietro... In questo modo percorremmo diversi chilometri di camminamenti sopraelevati; in alcuni degli angoli più reconditi della Pisa a livello di tetti io non sono più stato, dopo quella sera. Era un gioco, ma quello era il gioco che ci sentivamo di fare, in quel primo weekend. Eravamo giovani, avevamo molto tempo per fare dopo dei giochi più duri. La sera ci lasciammo al molo di casa sua, stringendoci la mano.
Andrea Milani 2011-10-11