- Ma è mai possibile - chiesi a Fabrizio - che non ci sia modo di discriminare tra gli effetti di un impatto asteroidale e quelli di una guerra nucleare?
- Beh, la risposta dipende dal tempo che è passato. Per qualche migliaia di anni dopo una guerra nucleare il fallout radioattivo sarebbe sempre presente a contaminare l'intero pianeta. Ma gli isotopi radioattivi prodotti da un'esplosione nucleare sono a vita corta, e dopo pochi milioni di anni sarebbero impossibili da individuare. In un tempo ancora più breve il vento e le piogge avrebbero cancellato le diecine di migliaia di crateri dalla superficie della Terra; e allora, che cosa resterebbe a testimoniare l'autodistruzione di una specie cosiddetta intelligente?
- Vedo che usi la parola ``intelligente'' con una certa ironia. Ma se l'umanità venisse spazzata via da una guerra atomica, non resterebbero dei monumenti della nostra tecnologia sulla superficie?
Fabrizio rispose con una risata:
- Questa è una tipica manifestazione della presunzione dell'uomo, che pensa di lasciare delle tracce permanenti; ma è un'illusione, basata sull'esperienza dell'archeologia umana, che copre un intervallo di appena qualche migliaio di anni. Dopo poche centinaia di migliaia di anni nessun edificio, autostrada o città può lasciare delle tracce alla superficie, e anche sotto la superficie, salvo forse un sottile strato con qualche elemento stranamente abbondante. Dopo milioni di anni sotto terra qualsiasi manufatto di metallo si ridurrebbe a polvere di ossido, qualsiasi plastica ritornerebbe di nuovo petrolio.
- Capisco, se anche l'umanità si autodistruggesse oggi, sotto una dura pioggia di bombe, resterebbe qualche traccia della sua non diciamo intelligenza, ma ingegnosità, solo nello spazio, dove il vuoto conserva i metalli.
- È proprio così, vai nello spazio se vuoi lasciare delle tracce permanenti - concluse Fabrizio.
Era sempre un piacere ascoltare Fabrizio, con il suo gusto per la conoscenza che non accettava compromessi.
La stessa sera, tornato a casa da Terry, cercavo di farmi dare retta da lei, mi sarebbe piaciuto fare all'amore, ma lei era molto occupata col suo dipinto a olio. Non c'era modo di distrarla, perciò mi misi a guardare quello che stava facendo. Nel suo quadro c'era solo il mare, un mare in tempesta, con creste bianche sui cavalloni.
- Che stai facendo?
- Il titolo potrebbe essere Mare di cultura della vita.
- Che vuol dire?
- Sciocco, è una citazione. Leggi lì - e mi indicò con il suo pennello un libro aperto su di un tavolino. Il libro si chiamava Foglie d'erba, ed i versi a cui si riferiva erano evidenziati con un pennarello giallo:
Mare dalle lunghe risacche, Mare che soffi lunghi e convulsi respiri, Mare di cultura della vita, di tombe non scavate sempre aperte, Che soffi e scuoti tempeste, mare capriccioso e delicato ...
Guardai per un po' il suo dipinto, poi cercai di coinvolgerla per lo meno in una conversazione.
- È un mare portatore di vita, o un mare mortale?
- È sempre tutti e due, come dice il poeta.
- Per la gente di Pisa, il mare è soprattutto un nemico, che porta distruzione. Ma tu non sei veramente di qui.
- Vedi, io non sono nata qui, e non ho visto l'alluvione, ma sono arrivata qui poco dopo con i miei genitori, quando vennero per cercare di salvare la casa. A quell'epoca il mare era veramente il nostro peggiore nemico: tutto quello che avevamo, tutte le nostre memorie furono distrutte in un attimo, oppure si stavano sciogliendo poco a poco.
- Allora perché pensi al mare come ``mare di cultura della vita''?
- Perché dopo un po' si impara a vivere con il mare. Dapprima noi, voglio dire i miei genitori, cercavamo soltanto di tenere il mare fuori dalla casa, costruendo muri di cemento e acciaio. Poi poco a poco imparammo che la casa deve ammettere un poco il mare al suo interno, deve convincerlo a sciacquettare dolcemente nell'ingresso, deve trasformare la sua furia in una forma di relazione domestica. E allora la casa comincia a vivere nel mare, e a riempirsi di vita sottomarina.
- Molte case di qui sono ancora protette dal mare con forti muri di cemento; per esempio, quella della Giusti.
- Quando hai visitato la sua casa?
- Qualche giorno fa, sono stato da lei a cena, con la sua famiglia.
- Ebbene, la Giusti è sicuramente una scienziata famosa, ma che ne sa lei dei modi in cui i pisani sopravvivono? Noi abbiamo imparato come vivere nel mezzo della laguna, che è il mare ed è la terra allo stesso tempo, e non può essere tenuta fuori con le maniere forti. La diga era una maniera forte, e non era forte abbastanza. Così i miei genitori, e molti altri da queste parti, assunsero un atteggiamento diverso. La struttura della casa fu rafforzata abbastanza da consentirle di spuntare al di sopra della acque per un periodo illimitato, ma il piano terra fu abbandonato alle onde smorzate dal percorso sinuoso attraverso l'ingresso.
- In questo modo avete imparato a fare un compromesso con il mare?
- Non è un compromesso, piuttosto noi condividiamo lo spazio con il mare... questo è quello che volevo dire con questo dipinto, ma stanotte non farò molti progressi, visto che tu stai facendo ogni sforzo per distrarmi. Perciò andiamocene a letto.
Era quello che volevo, in fondo. Comunque, avevo ancora voglia di discutere, anche mentre ci svestivamo vicino al letto.
- In questo modo state cercando di mantenere qualche segno visibile della presenza dell'uomo, in modo che neppure il mare possa cancellarle, non è vero? Questo mi ricorda la discussione che stavo facendo con Fabrizio proprio stasera: quanto è breve il tempo, dopo la nostra morte, in cui i segni materiali della nostra esistenza vengono cancellati.
- Dopo la nostra morte, che importanza ha? Forse che ai dinosauri importa del fatto che tu stia ancora studiando il loro lavoro?
A questa domanda era tanto duro rispondere da bloccare ogni possibile discussione, così decisi di passare al linguaggio del corpo.
Andrea Milani 2011-10-11