-Guardami in faccia, bugiardo- dico alla mia immagine- tu hai già deciso.
Attivo il telefono e chiamo la base. Mi dò malato: stasera non andrò di pattuglia. Domani, chissà...
Mi metto dei vestiti civili, scelgo qualcosa di comodo e non troppo elegante. Poi chiamo la banca e mi faccio recapitare tutti i soldi che posso ritirare immediatamente. Programmo un pasto abbondante e mi metto a tavola, mangio con appetito. Quando arrivano i soldi sono pronto; esco a piedi, lascio la macchina in garage. Per andare in città è una lunga passeggiata, ma io non ho fretta.
Questa volta nella casbah mi mimetizzo abbastanza bene; forse perchè è ancora presto e c'è meno folla, forse perchè non ho più la divisa che spunta sotto l'impermeabile, forse perchè mi sento diverso da ieri. Arrivo alla piazzetta dove il tendone di Zara, alla luce del tramonto, ha l'aria un po' rattoppata e perde gran parte della sua aura magica.
Invece Zara non è affatto diversa, e non sembra sorpresa che io sia tornato. Mi chiama col mio nome: ha avuto il tempo di fare qualche ricerca.
-Come posso pagare il prezzo che un tenente non può pagare? -ma in realtà so già la risposta.
-Voglio il tuo tesserino di sicurezza.
-Ma senza la tessera non potrò più entrare nella base...
Zara non risponde, ma finge di guardare dentro la sua sfera di cristallo.
-Se io metto la mia vita nelle tue mani, tu che garanzia mi dai?
La donna si avvicina e si scopre il braccio sinistro. Sull'avanbraccio c'è tatuato un numero.
-Ricordati il mio numero dei campi per Rom. Se vorrai vendicarti di me, potrai sempre denunciarmi.
Allora io tiro fuori il tesserino che mi serviva da documento, da lasciapassare, da carta di credito e da terminale per le operazioni amministrative, e lo appoggio sul tavolino. La maga non lo raccoglie, ma mi prende la mano e mi conduce al di là della tenda. Il secondo vano del tendone è occupato quasi tutto dalla scalinata di una vecchia stazione della metropolitana.
-Scendi da questa parte -e mi trascina giù dalle scale.
Così scopro che il quartiere dei clandestini di Zagabria non è la casbah, ma la metropolitana abbandonata. La stazione è affollata fino all'inverosimile, come una gigantesca stanza da letto a mille posti. Zara avanza con sicurezza scavalcando i corpi sdraiati, si dirige verso una delle gallerie, scende sui binari e mi guida fino ad una nicchia a metà tra due stazioni.