8.1 Notti

Il codice di colori, per rappresentare gli stati emotivi, che inventammo quella notte lo usano ancora nei viraggi di colore delle telenovele. Però non fu un lavoro da una sola notte. Quella notte dei codici di colore fu la prima di una lunga sequenza di notti senza sonno, spesso con Anna, talvolta con altri dottorandi addestrati alla ricerca nel ciberspazio. Ne feci una sorta di routine, anche se era una routine di sforzo sovrumano. Io arrivavo all'Istituto abbastanza presto la mattina, mangiavo a pranzo con un panino e andavo avanti a lavorare fino ad ora di cena. Poi me ne andavo a casa a cenare con Terry, ed ogni sera tornavo a San Cataldo immediatamente dopo mangiato, per lavorare finché l'alba non mi faceva trovare la strada di casa riflettendosi nei canali. Oggi non sarei più capace di un simile sforzo, lavoravo almeno sedici ore al giorno, e ne dormivo quattro, cinque al massimo.

Una di queste lunghe notti la ricordo, perché fu speciale. I corridoi dell'Istituto erano vuoti, anche i più coriacei dei dottorandi erano andati a letto, restavo solo io illuminato dalle luci che si accendevano per accompagnarmi nei corridoi. Il crepuscolo della lunga serata estiva era finito, il cielo fuori dalla finestra del laboratorio era senza luna, ma pieno di stelle. Allora la Giusti arrivò nel mio laboratorio. Sbirciò la consolle del mio calcolatore da sopra alla mia spalla, io facevo finta di non averla sentita venire.

Quando non potei più fare finta alzai lo sguardo su di lei, e cercai di sorriderle. Lei cominciò a parlare in modo molto professionale, mi chiese come andava il lavoro, mi diede dei buoni consigli sull'uso della traccia odorosa, e poi fece per andarsene, come una che ha finito quello che era venuta a fare. Io sapevo che era una mossa disperata, ma cercai lo stesso di trattenerla.

- Ti prego, resta.

- Non posso, devo andare.

- Ma chi te lo ordina? Non ti piace stare con me?

- Mi piace, ma...

- Non c'è nessuno, e poi chi ti potrebbe criticare se stai con chi ti piace?

- No, io ho delle responsabilità; sono la direttrice dell'Istituto, non posso fare una cosa del genere. E anche tu hai una compagna.

- Ma veramente tu non vuoi?

- Non si può - il suo sguardo era severo, sembrava di nuovo una maestra.

- Ma come andrà a finire la nostra storia?

- Perché finire?

- Bada che ogni storia ha, in un modo o in un altro, una fine. Finché continua, ha ancora diversi finali. Ti puoi immaginare un finale romantico, drammatico, o magari un finale in cui non succede proprio niente e continuiamo così per sempre.

- Raccontami queste diverse storie - e si sedette su di una sedia poco lontano da me, appena fuori dalla portata delle mie mani che mi facevano male per lo sforzo di trattenermi dall'allungarle verso di lei.

Allora le raccontai quattro, cinque storie differenti, tutte su di un amore difficle ma che dura a lungo. In una l'uomo era spinto fino alla totale disperazione dai rifuti della sua amata, finché perdeva il controllo di se stesso, le saltava addosso e la violentava; poi era in galera, e lei andava a visitarlo in carcere. Naturalmente a lei questa storia non piacque affatto. In un'altra, i due vecchi amanti continuavano ad incontrarsi una volta all'anno, in un piccolo albergo di campagna, e si raccontavano a vicenda delle loro vite, delle loro famiglie, dei loro sogni più o meno realizzati. Lei mi fermò presto: era un pezzo teatrale classico del secolo scorso, mi disse. In un'altra storia, non succedeva quasi niente, e l'amante continuava a visitare l'amata, senza mai superare la sua ritrosia. Una o due altre non me le ricordo bene, o forse non mi va di ricordarle. Dopo l'ultima storia restammo un po' in silenzio, poi le chiesi:

- Allora, quale delle storie ti piace di più? Sai, in ogni storia viene un momento in cui bisogna scegliere un finale, nessuna storia può essere lasciata incompiuta per sempre.

- Io ho scelto quella... in cui non succede niente.

Quella sera spesi tutte le parole che mi restavano, ma non riuscii a convincerla, solo a trattenerla un poco per discutere, e per me era già molto. In fondo, lei si era sempre comportata bene con me, e mi aveva detto chiaramente come la pensava. Eppure io non le credevo. Ripensandoci dopo tanti anni, non sono ancora capace di credere che non mi amasse. Forse un giorno riuscirò a convincermene; ma spero di no.

Andrea Milani 2011-10-11