Lei stava come al solito seduta davanti al terminale, quasi al buio, perché lo studio era illuminato solo dalla luce esterna che si arrossava già per il tramonto. Allora mi parve che ci fosse Laura, in quell'angolo buio, e fui preso da una frenesia, da un desiderio a cui mi pareva di non saper resistere. Trascinai una sedia accanto alla sua, e le presi una mano tra le mie. Lei non avrebbe voluto darmi la mano, ma forse lesse nel mio sguardo che se avesse ritirato la mano io avrei fatto una pazzia. Mentre le stringevo e le carezzavo la mano, le feci i discorsi più assurdi che le avessi mai fatto; per fortuna me li sono dimenticati quasi tutti, ma mi ricordo che le chiesi se era felice di stare così con me, la mano nella mano. Non mi ricordo cosa rispose. Mi ricordo anche che mi rimase sulle dita l'odore della sua mano, come quello che lascia un libro.
Finalmente lei decise di liberare la mano dalle mie, si alzò, mi chiese come andava il lavoro, ascoltò le mie lamentele sulla difficoltà di capire, sulla mancanza delle idee decisive. E mi sorprese con una proposta:
- Andiamo dove vanno tutti, a cercare delle idee, andiamo a Metropolis.
- Nel ciberspazio? Ci andiamo assieme?
- Sì, andiamo assieme, nella grande città virtuale, bada bene che non saremo soli: a Metropolis ci sono in media dieci milioni di persone, cinquanta milioni il sabato sera. Non dirmi che non ci andavi da ragazzo, almeno a Mudville.
- Certo, avevo i miei personaggi, per esempio a Star Wars City, a Dune; ora però sono degli anni che non ci vado, i miei personaggi devono esserci ancora, ma in cold storage...
- Non andiamo a giocare ad un MUD, come fanno i ragazzi; o forse sì, ma sarà un gioco più sofisticato. Vieni - e mi condusse con sé al laboratorio VR. Quando si sdraiò sul lettino accanto al mio mi resi conto che quella sera avevo veramente poco da sperare, altrimenti avrebbe utilizzato un lettino in un altro laboratorio, come aveva fatto altre volte.
Eppure era eccitante andare con lei a fare del turismo virtuale. Ero stato a Metropolis centinaia di volte, chi non la conosce; ma è una città diversa se ci si entra attraverso un'interfaccia diversa. Da ragazzo avevo esplorato la più grande città virtuale del ciberspazio attraverso un modesto collegamento a mezzo megabit al secondo, tutto quello che la mia famiglia poteva permettersi (e spesso mi toccava condividere la larghezza di banda con il telelavoro di mio padre e con le telenovele interattive che piacevano a mia sorella). Avevo giocato soprattutto a tre o quattro giochi di ruolo sociali, i cosiddetti MUD, Multi User Dungeon; per ciascuno avevo costruito il mio personaggio virtuale, attribuendogli carattere, facoltà magiche e abilità di ogni tipo, e disegnando io stesso la sua immagine, partendo da uno o più degli stereotipi proposti.
Soprattutto per chi, come me, viveva in provincia, nel villaggio di Buti isolato tra i monti, e dal di sotto circondato dalle paludi, non c'era altro modo di uscire il sabato sera. Allora svuotavo il frigorifero di tutte le bevande che conteneva e mi avviavo verso camera mia, dicendo di non disturbarmi fino alla mattina, e che nessuno si azzardasse a usare la linea neanche per ordinare la frutta dal supermercato. Mio padre attaccava con le lamentele sulla gioventù smidollata, e tirava fuori la solita leggenda che lui alla mia età andava in discoteca tutte le settimane. Del resto se anche fosse stato vero erano storie di un passato che non sarebbe tornato più: l'ultima discoteca della valle dell'Arno aveva chiuso un mese dopo lo sfondamento della diga, chi attraversava le paludi dopo il tramonto? Allora mia madre prendeva le mie difese, gli diceva di lasciarmi perdere, che avevo diritto di divertirmi, anche se abitavo in provincia... così la discussione spesso degenerava, tiravano fuori il perché non erano restati a Firenze, e io avevo una ragione di più per chiudermi in camera e connettermi al ciberspazio, tagliando le comunicazioni con tutti quelli della casa fino all'alba della domenica e oltre.
Così il mio sabato sera era quello di milioni di proletari del ciberspazio, con collegamenti da quattro soldi e motori di ricerca di fabbricazione artigianale. I miei amici virtuali erano centinaia, ma era contrario alla netiquette chiedergli anche solo in che continente vivessero. Di solito ognuno attribuiva al proprio personaggio proprio le doti di cui si sentiva più carente. Io per esempio in Star Wars City avevo un personaggio di extraterrestre rozzo e forzuto, e corteggiavo disperatamente una bellissima principessa che solo dopo molti mesi mi confessò di essere un uomo, cioè il giocatore che lei rappresentava era un uomo.
Ma questa era la mia serata: ora non sarei entrato a Mudville come un qualunque giocatore del sabato sera, sarei entrato a Metropolis dall'accesso principale, come un cibernauta con una sua persona; un privilegio che avevano in pochi, perché richiedeva una larghezza di banda almeno mille volte superiore a quella che era accessibile ai ragazzi con la loro linea telefonica domestica. E poi una vera persona, rilevata con lo scanner 4D, era tutt'altra cosa dei rozzi stereotipi dei personaggi da MUD. E per di più ci sarei entrato con Laura; certo, per le vie di Metropolis giravano molte bellezze simulate, ma Laura era vera, Laura era mia... veramente no, non era né l'una né l'altra, ma insomma, ero al settimo cielo.
L'ingresso nel ciberspazio fu ancora lento, graduale, passando attraverso una specie di nebbia: il solito accesso dai laboratori VR di San Cataldo, un ingresso di tipo professionale. Conto lentamente, uno, due, tre. Appena dentro io e Laura, tenendoci per mano per spostarci assieme, accediamo il menù principale di Metropolis. Dalla mia interfaccia domestica il menù appariva decorato da figure tratte dai fumetti fantascientifici del secolo scorso; invece dall'ingresso principale il menù appare come una cascata di scritte luminose che scendono da una figura gigantesca, metà donna metà robot.
Anziché scegliere un quartiere familiare ai visitatori del sabato sera, come Mudville, Laura punta il mouse virtuale su ``vista d'insieme''. Appare il panorama di una grande città visto dall'alto, ma su ogni quartiere c'è scritto il nome, le attrazioni principali agitano le braccia per invitarti, e cantano la loro pubblicità. Alcune sono delle figure di donne e di uomini più alte dei grattacieli, e l'unica cosa di cui scarseggiano sono i vestiti.
- Non l'avevo mai vista così, è bellissimo - dico a Laura - però non capisco perché dici che si viene qui in cerca di idee; a me sembra una gran confusione.
- C'è una grande confusione sotto il cielo: la situazione è eccellente.
- Cosa dici?
- Niente, citavo un filosofo antico. È proprio perché non c'è alcun ordine prestabilito, tutte le idee più bizzarre sono libere di esprimersi e di competere per la tua attenzione; così questa è la più grande fabbrica di idee nuove del nostro secolo.
- Io credevo che le idee nuove nascessero nei laboratori di ricerca, magari anche nel ciberspazio ma nelle regioni di informazione attendibile, certificata dalle più grandi istituzioni scientifiche.
- Questo è quello che vorrebbero farti credere all'Università, quello che ti insegnano... anzi che insegno anche io. Ma in realtà la maggior parte delle idee nuove nascono dalla confusione, dall'anarchia del ciberspazio non controllato, non regolamentato.
- Ma laggiù nascono anche la maggior parte delle sciocchezze.
- Si capisce. La vera superiorità della scienza, della cultura, sta nel saper scegliere nel mare di idee quali sono veramente nuove, e soprattutto quali sono sensate. Per esempio, proviamo ad andare qui, nel quartiere AltSci; ma stai attento, perché ci sono dei siti molto alternativi, i tipi bene come noi non sono necessariamente graditi.
- Cosa vuol dire il nome AltSci?
- Il nome viene dalla tradizione dei newsgroup alternativi della prima era Internet. AltSci è il quartiere più malfamato, pieno di svitati che credono all'una o all'altra delle scienze alternative, in feroce contrapposizione con la scienza ufficiale.
Atterriamo sulla terrazza, sopra un'insegna luminosa che dice ``Alt-Dinosaurs''. Quando siamo dentro, io provo ad azionare un motore di ricerca con i termini dinosauri, estinzione, ma qui i motori di ricerca basati sulla logica non funzionano. Veniamo spediti a casaccio da un agente all'altro, ognuno dei quali sembra convinto che l'informazione che cerchiamo sarà disponibile dal prossimo, e nel frattempo ci scodella migliaia di link a siti spazzatura in cui si trovano le teorie più stupide sulla morte dei dinosauri, magari basate sulla consultazione degli spiriti dinosaurici attraverso medium.
Allora Laura, che ha evidentemente più pratica dei siti alternativi di quanto ci si aspetterebbe da una rispettabile professoressa, comincia a chiedere indicazioni dai personaggi che si incontrano nei corridoi. La maggior parte di loro sono rappresentati graficamente da dinosauri, ma ci sono persino alcuni che hanno soltanto un biglietto da visita con il loro nome che si muove nel ciberspazio: probabilmente collegamenti da paesi sottosviluppati, dove possono permettersi solo linee da poche migliaia di bit al secondo. Alla fine è proprio uno di questi ciberpoveri, collegato con un'antenna di fortuna sul tetto della sua capanna in Mozambico, a darci la sola pagina che vale la pena di trovare. Si tratta di una favola per bambini, scritta da una poetessa sudafricana nel 2020; l'autrice stessa la legge, in una qualsiasi delle lingue del suo paese, a scelta.
Dunque, nella favola si narra che il grande dinosauro Ebu aveva catturato un mammifero, e gli stava spiegando che lo trovava molto appetitoso. Però fu interrotto dal suo fratello Abu, che era un dinosauro altrettanto grande. I due grandi dinosauri lottarono a lungo, spazzando via un'intera foresta con i colpi delle loro code, finché Abu morì. Allora Ebu tornò dal mammifero; sanguinava da molte ferite, tra cui più d'una era mortale. Il piccolo topolino gli chiese: ``Chi ha vinto?'', e il grande dinosauro, morendo, rispose: ``Tu hai vinto''.
- Allora, tu che sei il più grande traduttore dei dinosauri - mi dice Laura con la sua aria più sfottente - che insegnamento trai da questa favola?
- Che anche i poeti pensano che una razza forte e fiera come i dinosauri non potevano accettare di farsi sterminare che da se stessi. Ma se i poeti hanno ragione o no, è un altro discorso. Basta, sono stufo di questo sito ``alternativo'', usciamo in strada.
- Ma lo sai quanto è pericolosa la strada virtuale di Metropolis?
- Beh, dicono che in strada siano valide le regole di tutti i giochi di ruolo...
- In strada si va per sfidare quelli che giocano secondo altre regole, diverse dalle tue; per incontrare personaggi che sono definiti secondo logiche che tu non conosci; in strada, ognuno è un diverso, un mostro, un alieno.
Io non scrollo neanche le spalle, e attraverso la parete uscendo in strada. I primi tre o quattro personaggi che incontro non sono né comici né terrificanti, ma forse un po' di tutte e due le cose: sono delle mescolanze non molto ben riuscite di extraterrestri e mostri partoriti dalla fantasia malata dell'uomo medievale. Laura mi segue, tenendosi un po' defilata dietro di me. Così sono io a fare il primo incontro veramente pericoloso.
- Guarda, guarda, una persona... un riccone, uno a cui i gigabit per secondo escono dagli orecchi - la voce aspra e sferzante esce dalla bocca di una femmina di una specie ignota; dalla vita in giù è protetta da una corazza di acciaio coperta di punte, il petto è nudo e mostra tre mammelle, i capelli sono mescolati a serpenti che sibilano mostrando le lingue velenose.
Io vorrei voltarmi verso Laura per chiedere aiuto, perché l'unico dubbio che ho è su quale forma di aggressione la femmina mostro userà nei miei confronti, ma non riesco a staccarle gli occhi di dosso. Ad un tratto lei/quella cosa spicca un balzo felino e mi salta addosso, mi imprigiona con le sue gambe di acciaio e comincia a spogliarmi, poi a... a farmi... e poi si trasforma in una nuvola di scintille, che scendono al suolo lentamente prima di spegnersi.
Laura ha in pugno un disintegratore molecolare ancora fumante. Non badate al fatto che il disintegratore molecolare in realtà non è stato ancora inventato, a Metropolis è l'arma più comune.
- Bel colpo! Ma che... che cosa voleva, quella... - balbetto; devo ammettere di essere rimasto un po' choccato, anche se un incidente del genere è considerato parte del divertimento, nelle vie di Metropolis.
- Hai proprio bisogno che ti spieghi che cosa voleva? Non sai che Metropolis è l'unica città nelle cui strade vengono violentati tanti uomini quante donne? Infatti solo il ciberspazio rende possibile questa sgradevole forma di parità, grazie ad un effetto speciale di cui tu hai visto molto da vicino la prima parte. O forse avresti preferito vederlo fino in fondo?
- No, anzi, grazie per avermi salvato. Ma ora, per piacere, prendimi per mano e portami in un sito un po' più tranquillo, di quelli in cui siamo abituati a lavorare noi.
Laura mi prende per mano, anche se ha capito benissimo che io non mi sento poi tanto male, ma sto usando una scusa infantile.
- E dove vorresti andare?
- Per esempio, al sito del CD fossile, ho trovato un capitolo che finora abbiamo studiato molto poco, e che è molto interessante...
- Vuoi fare del lavoro di traduzione come al solito? Ma oggi non eravamo in cerca di idee ed emozioni nuove?
- Beh, anche quel capitolo ha qualcosa di speciale; spiega come facevano l'amore i dinosauri.
Laura molla di colpo la mia mano come se scottasse; io cerco di scusarmi con lei, le dico che è un pezzo veramente utile del CD, ma è chiaro che ho fatto una grossa gaffe. Ce ne andiamo senza toccarci, anzi quasi senza parlarci più.
Andrea Milani 2011-10-11