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IL BIGLIETTO

Revisone 2, 31 maggio 2001

La vecchia sta immobile, la testa appena rialzata da un cuscino, forse dorme, la TV è spenta. La sirena del treno merci la scuote: i binari passano vicino alla casa di riposo. Ai suoi tempi, in Europa, i treni non avevano delle sirene così; piuttosto le navi, le navi nel porto di Le Havre quando chiamavano gli ultimi passeggeri. La sua mano stringe il medaglione che porta al collo, lo sguardo va a cercare sopra l'armadio la sagoma di una vecchia valigia. Quando la sirena smette di chiamare si sentono sferragliare i vagoni del treno.


I vagoni del treno corrono nella notte, attraverso foreste e villaggi, fiumi e paesi. Nella carrozza di terza classe dormono tutti sui sedili di legno, le teste delle donne sulle spalle degli uomini, i bambini in braccio alle madri, su di una panca un mucchio di braccia e capelli, tre sorelle. Rose però non dorme, non vuole dormire, al pensiero dei posti fuori dal finestrino che non vedrà mai più. Si sfila dall'abbraccio della sorella maggiore, piano per non strapparle il medaglione; solleva la testa dell'altra sorella, rimettendole il fermacapelli nella treccia sulla nuca. Appoggia la fronte sulla finestra: lunghi filari di alberi disegnano i campi, illuminati dalla luna.

La luce del mattino sveglia Carolina e Ivona. La maggiore, appena si rende conto che sono solo in due, si agita molto:

``Dove è andata Rosamund? Quella si perde sempre!''

Ma Rose ritorna subito, più fresca delle sorelle, anche se non ha dormito.

``Carol, quanto manca a Le Havre?''

``Accidenti, non chiamarmi così, lo sai che non mi piace.''

Rose aspetta in silenzio, poi torna alla carica:

``Carolina, quanto manca?''

``Non lo so, non lo so, credo che arriveremo nel pomeriggio.''

``La tua nave quando parte?''

``Domani sera.''

``E stasera dove dormiamo? Non ne posso più delle panche di legno.'' Ivona si copre gli occhi con le dita.

``Dal mio amico Pascal.''

``Chi sarebbe?'' Ivona è sorpresa, di solito la sorella le racconta tutto.

``L'ho conosciuto a Varsavia.''

``Conosciuto come?''

``Faceva il cuoco.''

Rose e Ivona si guardano negli occhi, in silenzio. Carolina si spazientisce:

``Voi potreste farvi i fatti vostri. E poi ci fa molto comodo di essere ospitati da lui, altrimenti chissà in quale bettola saremmo finite.''

La campagna francese passa di corsa davanti ai finestrini. Ci sono campi di grano maturo, vigne, boschetti, pascoli e mucche sdraiate sull'erba. Ogni tanto un campanile alto, a punta, appare e scappa via, oppure una stazione, dove non ci si ferma, il treno passa in piena corsa.


Il treno passa in piena corsa sulla sopraelevata, proprio sopra a Rose, mentre lei apre con affanno la porta della macchina. Sarebbe terribile non arrivare in tempo. Sono tre mesi che non ci va, sembra impossibille, ma ogni giorno c'è sempre troppo da fare, con la casa, i bambini, le rate della macchina nuova.

Le torri di Chicago ora sono alle sue spalle, l'autostrada corre verso Sud, il sole negli occhi le dà fastidio. Anche alla nonna la troppa luce dava fastidio, succede a chi ha gli occhi chiari come loro due.


``Hai gli occhi azzurri come il cielo'' diceva nonna Rose tenendola in braccio ``proprio come me. Hanno fatto bene a darti il mio nome.''

``Solo noi abbiamo gli occhi così, vero nonna?''

``Solo noi li abbiamo così belli.''


L'ultima volta che è andata a trovarla guardava fuori dalla finestra, la luce le feriva gli occhi ma lei non voleva mai che si abbassassero le tendine.

``Nonna Rose, ti ho portato i croissant come piacciono a te, vieni a mangiare, riposati gli occhi.''

``Voglio vedere quello che passa qui fuori'' ha detto.

``Ma non passa nessuno!''

``Ma se passasse, lo perderei, e potrebbe non passare più.'' E ha continuato a guardare fuori, proteggendosi gli occhi con una mano.


Proteggendosi gli occhi con una mano, la luce sul mare è troppo forte per i suoi occhi chiari, si sporge per vedere le onde che si rincorrono con le creste bianche, i gabbiani, i pescherecci che escono dal porto. Nel giardino di Pascal c'è un angolo dove la staccionata è mezza rotta, da lì si può guardare oltre il molo del porto, fino in alto mare.

Pascal la chiama, non si capisce cosa dice, deve essere per la cena, lui è un cuoco sopraffino, pare che voglia aprire un ristorante. Carolina la trova una cosa tanto bella, come del resto qualunque cosa lui dica, anche se non lo capisce: lei finge di sapere il francese anche a costo di fare la figura della stupida, come quando lui le dice ``paté'' offrendole un pezzo di pane con qualcosa spalmata sopra e lei ride, come le avesse fatto un complimento.

A cena Pascal sembra voglia sapere solo del viaggio di Carolina, della nave per l'America, e di cosa farà laggiù. Anzi non ne vuole sapere, con tutte le difficoltà di lingua si capisce benissimo che non vorrebbe lasciarla partire. Rose e Ivona si guardano di nuovo negli occhi: ma cosa diavolo sta combinando Carolina? Che cosa ci fanno qui?

È notte fonda, le tre sorelle dormono in un grande, comodo letto; le lenzuola pulite e inamidate sono fresche sulla pelle, dopo aver tenuto i vestiti addosso per due giorni. Rose si sveglia, non sa perché, Carolina si è alzata e le fa ``Dormi''. Allora fa finta di chiudere gli occhi, ma alla luce della luna la vede uscire dalla stanza. Decide di aspettare sveglia se ritorna.

``Rosamund, Ivona, svegliatevi, è una bellissima giornata e Pascal ha preparato una colazione fantastica.''

A Rose la colazione fa pensare che sua sorella non ha avuto una cattiva idea a portarle lì; soprattutto questi, come si chiamano, ah già, cruassà. Ma ora Carolina si siede accanto alle sorelle con un'aria molto seria. In mano ha un foglio di carta azzurra.

``Ecco, voi due ripartirete domani, tornate a casa. Dovete riportare questo a nostro padre.''

``Che cosa è?''

``Il mio biglietto per l'America.''

``Sei impazzita?'' Rose ha smesso persino di mangiare il cruassà ``tu che pensavi solo all'America, a farti una nuova vita.''

``Ce l'ho già una nuova vita.''

``E da quando?''

``Da stanotte.''

``Sei una pazza. Pensa ai sacrifici che i nostri genitori hanno fatto per pagare questo biglietto.'' Ivona è veramente infuriata, ma Rose sorride, con lo sguardo assente.

``Per questo sto dando il biglietto a voi, perché lo restituiate.''

``Non capisci, stupida'' urla Ivona ``che non si possono riavere i soldi indietro dopo che la nave sarà partita senza di te. E la nave parte stasera, non troveremo mai da vendere il biglietto.''

Rose ha finito di mangiare il suo cruassà e parla senza guardare le sorelle:

``Potrei andare io al posto tuo.''

Nella loro stanza, le sorelle hanno vuotato la valigia di Carolina, quella del nonno quando era soldato. Ci hanno messo tutti i vestiti che stavano nella borsa di Rose, ma la valigia è ancora vuota. Uno alla volta Rose si prova tutti i vestiti di Carolina e finiscono tutti nella valigia: perché lei ha solo tredici anni, la sorella maggiore diciotto, ma lei è sempre stata la più robusta ed è già alta come le altre due.

``Ma non avrai bisogno dei tuoi vestiti?''

``Avrò quanti vestiti vorrò, ci penserà Pascal a comprarmeli. E poi la padrona di un ristorante non ha bisogno di vestiti eleganti, solo di tanti grembiuli da cucina.''

Al momento di chiuderla, la valigia è piena.


La vecchia valigia di pelle è piena solo a metà, ma nonna Rose non trova altre cose da metterci dentro. Carrie rinuncia a frugare nell'armadio, si volta a guardare sua madre.

``Mi dispiace mandarti via, ma non possiamo più tenerti qui. Anche io non sto bene, non ce la faccio più ad assisterti.''

La nonna non risponde subito, sta raccogliendo le sue ultime cose in una scatola da biscotti. Tiene nella mano un modellino della statua della libertà, poi mette nella scatola anche quello.

``Lo so che non puoi tenermi, ma mi mancherete, tu e Rose.''

Rose sta ascoltando, sua madre si è dimenticata che lei è in un angolo della stanza, altrimenti non avrebbe detto la verità davanti a lei. La nonna se ne va, le viene da piangere, ma non ha un fazzoletto, allora si asciuga le lacrime con le dita.


Si asciuga le lacrime con le dita, quella sciocca di Carolina, sta piangendo senza nessuna buona ragione. Si sfila dal collo la catenina d'oro con il medaglione:

``Tieni, la foto della mamma serve più a te.''

Ivona invece abbraccia Rose, la bacia, e poi si stacca un poco da lei come per guardarla bene. Senza dire nulla si toglie il fermacapelli, le tira su la treccia e gliela ferma sulla nuca. Si allontanano l'una dall'altra, Rose si mette a correre sulla passerella, trascinando la valigia di pelle.

La sirena lancia l'ultimo richiamo, le passerelle ritirate, le gomene via dalle bitte. La nave si stacca dalla banchina, lancia ancora un ultimo fischio della sirena.


Il fischio della sirena sorprende Rose al passaggio a livello. Il treno è lungo, lei guarda con impazienza l'orologio: quattro ore da quando le hanno telefonato. Appena passato il treno riparte dando parecchio gas, pochi minuti ed è arrivata. Entra in fretta, con un po' di affanno, per via del sovrappeso, suo marito glielo ha detto tante volte che dovrebbe mettersi a dieta. Nell'ingresso dietro al banco c'è una donna nera, più giovane di lei, con il camice.

``Sono venuta a vedere come sta mia nonna, si chiama Rose, Rose Previski. Mi hanno telefonato che stava male.''

L'infermiera nera esita, la guarda con uno sguardo strano, che Rose non capisce. Poi risponde:

``Mi dispiace, lei è arrivata troppo tardi. Sua nonna se ne è andata due ore fa. Il cuore ha ceduto, il medico ha detto che non c'era più niente da fare. Le assicuro che non ha sofferto.''

Rose non risponde, le mancano le parole. Vorrebbe avere la lingua sciolta di suo marito per sapere dire qualcosa di giusto, ma nella sua famiglia non sono mai stati dei grandi chiaccheroni. Dopo un silenzio lungo da farle provare imbarazzo, alla fine riesce a dire:

``Posso vederla?''

``Non è qui, è già stata portata all'ospedale, due miglia più avanti, sulla statale 43.''

``Va bene, vado.''

``Aspetti, lei è la parente più stretta?''

``Sì, mia madre è morta da tre anni.''

``Allora forse vorrà prendere le sue cose. Non che ne avesse molte. Venga, la accompagno.''

Rose la segue come un automa lungo i corridoi, su cui si aprono molte porte, tutte chiuse, entrano in quella dove fuori c'è scritto Rose su di un bigliettino decorato a fiori. Nell'armadio ci sono dei vestiti vecchi, un cappello di paglia ridotto male, una borsetta di gusto antiquato, sopra all'armadio la vecchia valigia di pelle.

Rose sa che le cose a cui teneva di più stavano nel cassetto del comodino, proprio vicino a lei, ormai da tempo non poteva alzarsi da sola. C'è una scatola di latta, di quelle da biscotti: dentro le fotografie incorniciate di Carrie, la mamma di Rose, e del nonno che è morto negli anni sessanta. C'è una scatoletta di attrezzi da cucito, minuscola, decorata di perline di vetro, e un fermacapelli, di bachelite nera, spezzato. C'è anche l'unico ornamento che ha mai visto addosso alla nonna, il medaglione che portava sempre al collo, attaccato ad una catenina che un tempo era dorata. Davanti la fotografia di una donna dal viso austero, con i capelli a treccia tirati sopra al capo, dietro uno scomparto che si apre a molla, come nei vecchi orologi da tasca. Rose si aspetterebbe di trovarci una ciocca di capelli, qualche ricordo di una persona amata, invece c'è un foglio azzurro, tutto spiegazzato, si legge solo una parola, Havre. Nella scatola resta solo una statuina della libertà di metallo stampato.

Rose si mette il medaglione al collo, getta via il relitto di fermacapelli, e guarda ancora una volta il biglietto azzurro, come indecisa, ma proprio non si legge, allora butta via anche quello, prende le fotografie e la scatolina da cucito, le mette nella borsa. Fa per chiudere la scatola, ma poi cambia idea, prende in mano anche il modellino della statua della libertà.


La statua della libertà non l'ha vista dalla nave, negli alloggi di terza classe non ci sono oblò. Da quando sta ad Ellis Island viene ogni giorno sulla riva, gli altri vanno a guardare la sagoma di Manhattan, lei no, vuole guardare dalla parte opposta, verso la donna che regge la fiaccola. New York avrà tempo di vederla.


Il biglietto è di Andrea Milani

e-mail: milani@dm.unipi.it


La nonna di Rose, la mia padrona di casa a Los Angeles, ha veramente salpato da Le Havre nel 1912, a tredici anni, con il biglietto della sorella. Altri dettagli della sua storia non si sanno più, ricordare le circostanze dell'emigrazione non fa parte delle usanze del melting pot americano. Il nostro sarà più ricco di memoria?



 
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Andrea Milani
2001-07-11